Abbassare età pensionabile: ecco il modo semplice per farlo

Pensione ed età pensionabile sono strettamente correlate, ma non sono concetti immutabili, potendo variare anche rapidamente, poiché la situazione demografica e lavorativa influisce notevolmente. È possibile ridurre l’età pensionabile? In alcuni casi, la risposta è affermativa.

Lo Stato prevede infatti diverse possibilità di accedere alla pensione prima dell’età anagrafica standard, che deve corrispondere a quella legata ai contributi per poter beneficiare di una pensione continuativa. Tuttavia, queste regole presentano dei limiti che richiedono un’attenta valutazione.

Come è possibile nel 2025 andare in pensione senza utilizzare l’età pensionabile ordinaria, quindi di fatto abbassandola? Analizziamo tutte le opzioni disponibili, con i relativi vantaggi e svantaggi, per ogni modalità di pensionamento, che rappresenta il normale e atteso processo di uscita dal mondo del lavoro.

Età pensionabile: l’importanza di questo elemento

A cosa serve l’età pensionabile? Si tratta di un calcolo complesso, aggiornato regolarmente, a volte anche annualmente, che tiene conto dell’età media della popolazione attiva e lavorativa, al fine di proiettare una popolazione sufficientemente numerosa per sostenere i pensionati.

Una nazione come l’Italia, con una crescita demografica stagnante da anni, si trova nella difficile situazione, simile ad altri paesi europei, di dover aumentare questa soglia, il che comporta inevitabilmente un aumento degli anni di lavoro e condizioni pensionistiche meno favorevoli. Per questo esiste il concetto di pensionamento anticipato, che però non è sempre realizzabile.

Questi elementi consentono di non fare affidamento sull’età pensionabile “base”, necessaria per uscire adeguatamente dal mondo del lavoro. Si tratta quindi di strumenti alternativi, come le forme di pensionamento anticipato quali Quota 100, poi divenuta Quota 102.

No all’età pensionabile

Nella maggior parte dei casi, l’età pensionabile funge da “regolatore” e da indicatore della situazione, mediamente in peggioramento, del rapporto tra cittadini e lavoratori. La pensione “regolare”, quella di vecchiaia, può essere richiesta a 67 anni compiuti e con almeno 20 anni di contributi.

Ad oggi, quindi, 67 anni è l’età pensionabile, confermata fino al 2026, ma che potrebbe aumentare ulteriormente con l’aumento della speranza di vita. Altre forme prevedono la possibilità di ricorrere al prepensionamento “misto”, che si basa sul calcolo contributivo e anagrafico e richiede almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi: questa è Quota 103.

È richiedibile sia per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi, ed è stata aggiornata anche per il 2025. 103 rappresenta la somma minima tra età anagrafica e contributiva, ma in questo caso ci sono limiti all’assegno, che non può superare 4 volte l’assegno INPS minimo, quindi mensilmente non si potranno percepire più di 2.413,60 euro.

Altre forme di pensionamento anticipato

La pensione anticipata contributiva tiene conto esclusivamente degli anni di contributi, per i lavoratori iscritti alle gestioni INPS, e può essere richiesta con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne. In questo caso, è da considerare una finestra di 3 mesi tra l’accettazione della pensione e il primo assegno.

Anche Ape Sociale e Opzione Donna sono state aggiornate, con alcune modifiche recenti. Ape Sociale permette di ridurre l’età pensionabile per categorie come lavoratori di mestieri usuranti, disoccupati, caregiver e disabili almeno al 74%, con requisiti di 63 anni e 5 mesi compiuti e da 30 a 36 anni di lavoro a seconda del contesto.

Le donne hanno uno sconto di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due. Anche in questo caso, l’assegno mensile non può superare 3 volte il trattamento INPS minimo.
Da menzionare anche il pensionamento contributivo anticipato per i lavoratori precoci, ovvero coloro che hanno almeno 41 anni di contributi ufficiali versati, di cui almeno uno versato prima del compimento dei 19 anni.

Conclusioni

Opzione Donna è pensata per le lavoratrici, sia del settore privato che indipendente, e garantisce l’uscita dal mondo del lavoro a partire da 61 anni di età e 35 di contributi. Si tratta di una misura confermata anche per il 2025, ma in forma più limitata, suscitando diverse proteste da parte delle potenziali interessate.

La presenza di figli riduce gli anni necessari come requisito anagrafico, così come l’indicazione di caregiver, disoccupata o dipendente da società in crisi o in caso di invalidità pari ad almeno il 74%. Opzione Donna ha una “finestra mobile” particolarmente ampia: 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

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